Penelope riconosce Odisseo, Parafrasi / Commento / Riassunto

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mak hp
view post Posted on 6/4/2011, 18:55




PARAFRASI:

Uscì dal bagno simile nell'aspetto agli dei immortali.
Sedeva ancora sul suo seggio di dove si era prima alzato, proprio di fronte alla sua sposa, e le rivolse la parola: «Cara, a te, certo, più che a tutte le altre donne, diedero un cuore duro gli dei che hanno le case sull'Olimpo. Un'altra donna non starebbe lontano con animo tanto ostinato da suo marito, che soffrendo molte sciagure le giungesse dopo venti anni in patria. Ma via, mamma, preparami un letto! Voglio dormire anche da solo. Costei, si vede, ha proprio un cuore di ferro.»
E a lui rispose la savia Penelope: «Caro, non faccio, credi, la superba e non ti disprezzo né mi stupisco troppo: lo so bene com'eri quando andavi via da Itaca sopra la nave. Su, Euriclea, preparagli un buon letto fuori della stanza nuziale: il letto, voglio dire, che fece lui. Gliela collocate là fuori, la lettiera, e vi stendete sopra il saccone e velli e coperte e splendidi tappeti colorati.»
Così parlava mettendo alla prova il marito. E Odisseo si rattristò e diceva alla sposa buona e fedele: «Donna, ben dolorosa è questa parola che dicesti. E chi mi collocò il letto da un'altra parte? Sarebbe difficile, penso, anche per uno molto esperto, a meno che non venga un dio in persona a metterlo con facilità in un altro posto, se vuole. Ma nessun uomo vivo di questo mondo, neppure se molto giovane e forte, lo può smuovere agevolmente con leve, perché c'è un grande segreto nel letto lì, ben lavorato. Lo feci io, non un altro. Ricordo bene: cresceva dentro il cortile una macchia d'ulivo dall'ampio fogliame, Era un ulivo in pieno rigoglio, fiorente: aveva un tronco massiccio come una colonna. E appunto intorno a questo tronco ci misi la stanza nuziale e la costruivo con un solido muro di pietra finché l'ebbi finita: e poi la ricoprii bene di tetto al di sopra, e ci posi le porte fornite di cardini, saldamente chiuse. E allora mozzai via la chioma dell'ulivo e sgrossavo il tronco a partir dalla radice, e lo levigai tutto intorno con l'ascia di bronzo, bene e con arte, e la raddrizzai a filo di squadra facendone il piede e il sostegno del letto, e lo traforai tutto con il trapano. Cominciando di lì, da quel tronco, costruivo e piallavo il resto del letto finché l'ebbi finito. Lo decoravo poi con oro e argento e avorio. E ci tesi una cinghia di cuoio lucida di porpora. Così ti rivelo questo segreto. Ma non so, o donna, se ancora è saldo il mio letto o se ormai qualche uomo lo collocò altrove, tagliando al di sotto il ceppo di ulivo.»
Così parlava. E a lei si sciolsero le ginocchia, venne meno il cuore, al riconoscere i segni che con tanta esattezza Odisseo le aveva indicato.


COMMENTO / RIASSUNTO:

E’ perifron, è saggia, Penelope; bella non può esser di certo, dopo una vita di preoccupazioni, dopo aver cercato di mimetizzarsi per scoraggiare gli irriducibili proci, che, attraverso lei, ambivano al regno. Una donna oggetto consapevole della sua fragilità, ma tanto forte per ribellarsi, attaccata ad una speranza che di anno in anno sbiadisce, perde forma. Del marito ha un ricordo lontano, romanzato: avrà dimenticato le piccole beghe che intossicavano le loro giornate di giovani sposi; la memoria le avrà restituito un’immagine menzognera e felice del passato.
E torna, infine, questo Ulisse errabondo. Con una sensibilità moderna, Omero immagina l’intervento della dea per abbrutirlo.
Non fu Atena, non fu calcolo degli dei questa metamorfosi (ma gli antichi, si sa, cercavano sempre l’intervento divino): furono gli anni, le sofferenze, i dolori ad incanutire quell’uomo, a sottrargli orgoglio e dignità.
Penelope non lo riconosce, non vuole riconoscerlo: non può essere quel pitocco, quello straccione l’uomo a cui ha sacrificato anche il ricordo. Il loro primo incontro è un capolavoro di ipocrisia: i due si scrutano, si parlano, forse si riconoscono entrambi, cercando nel loro cuore un barlume di quell’amore che li legò per venti anni.
In uno splendido racconto di Kate Chopin, autrice statunitense attiva alla fine dell’Ottocento, una donna malata di cuore, che resiste all’emozione di sapersi vedova e che comincia ad immaginarsi una nuova vita (con toni che da drammatici diventano sempre più allegri), libera finalmente di scegliere e agire, non regge al trauma di scoprire che si è trattato di un equivoco, che suo marito (e con lui i suoi difetti) è vivo e vegeto. Non muore di gioia, la vedovella graziata dal destino, ma di dispiacere, perché al dolore della perdita ci si abitua, alla disillusione non ci si assuefa mai.
E Penelope è saggia perché riesce a mascherare la sua delusione, a indagare in quel volto consunto i segni dell’antica bellezza e ad ammirarlo, splendido e seducente, con gli occhi del cuore e non con i sensi.
Merita grande attenzione la rielaborazione del mito compiuta da Ghiannis Ritsos che riporto qui in traduzione italiana:
NOn era possibile che non lo riconoscesse alla luce del focolare; non c'erano i panni logori del mendicante, il travestimento: no, segni certi: la cicatrice sul ginocchio, la forza, la furbizia nell'occhio. Terrorizzata, appoggiando la schiena al muro, cercava una giustificazione, ancora un intervallo di tempo di breve durata, per non rispondere, per non tradirsi. Per lui, dunque, aveva speso venti anni, venti anni di attesa e di sogni, per quest'infelice, per questo vecchio grondante sangue? Si lasciò cadere su una sedia, guardò lentamente i pretendenti morti sul pavimento, come se guardasse i suoi propri desideri morti. E "bentornato" gli disse, sentendo estranea, lontana la sua voce. Sulle ginocchia, il telaio suo riempiva il soffitto di ombre a forma di grata; e quanti uccelli aveva tessuto con cuciture rosse lucenti su fogliame verde, all'improvviso quella notte del ritorno finirono in nera cenere volando basso nel cielo piatto dell'estrema sofferenza.

Penelope gli tiene testa e lo sfida, pretende a sua volta una dimostrazione e solo quando lui le prova di non aver dimenticato gli affetti che li legarono si abbandona alla dolcezza degli abbracci e delle lacrime

 
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